lunedì 24 gennaio 2011

Chi li fa i pop up?

Nella mia collezione di libri per l’infanzia, di recente intrapresa, vi sono due libri pop up meravigliosi. Del Mago di Oz di Robert Sabuda ho già fatto cenno (qui). L’altro è una vera e propria gioia per gli occhi. Si tratta di C’era una volta... (Rizzoli, 2010) di Benjamin Lacombe



Avrei voluto soffermarmi sulle sue bellissime bambine inquietanti, ma c’è un’altra questione che mi si è posta più urgente.

Da qualche parte ho letto che i pop up, essendo più costosi e complicati da realizzare rispetto ad altri libri, vengono prodotti in paesi in via di sviluppo, utilizzando anche il lavoro minorile.

Sul bel sito di Massimo Missiroli, che racconta la storia dei pop up, corredandola con immagini interessanti che riproducono quelli più antichi, e che soprattutto mostra come fare un pop up insieme ad un bambino, trovo solo questa informazione, pur importante: “Tranne pochi casi, i libri che oggi troviamo sul mercato in tutto il mondo vengono realizzati in Cina, Colombia e a Singapore dove hanno sede importanti case di produzione che riescono, grazie alla qualità di stampa raggiunta e ai tempi brevi di preparazione, ad assemblare manualmente migliaia di copie per ogni titolo” (Patrizia Ghirardelli, Massimo Missiroli, Il libro ha tre dimensioni, 1994/2003). 
Cina, Colombia: sono paesi dove lo sfruttamento del lavoro minorile è davvero molto diffuso.

Un’altra rapida indagine svolta tra i libri di Bia mi lascia interdetta: i libri cartonati per bimbi piccoli sono tutti stampati in Cina, tranne quelli della Pimpa e di Giulio Coniglio della Franco Cosimo Panini Editore, stampati e rilegati dalla Cartotecnica Montebello di Vicenza. Le Filastrocche dei mostri di Susanna Buratto, illustrato da Anna Curti ed edito dalla Giunti Kids è stampato in Cina, ma riporta un bollino sul retro, che recita: “non è stato sfruttato il lavoro di NESSUN BAMBINO per realizzare questo prodotto”. Ne sono lieta e mi chiedo se la necessità di precisare la cosa non getti un’ombra sull’editoria per l’infanzia in generale e su come vengono realizzati alcuni di questi libri.

Tra i libri illustrati per bimbi più grandi o per ragazzi che sto collezionando c’è una buona percentuale di prodotti realizzati in Cina, con l’eccezione delle edizioni ARKA, che ha stampato in Italia La bambina nel Castello dentro il Museo di Kate Bernheim con le illustrazioni di bimbe (anch’esse inquietanti, ne dovrò parlare in un altro post) di Nicoletta Ceccoli. La Margherita edizioni ha stampato a Cernusco sul Naviglio (MI) Maleducato!, di Taï-Marc Le Thanh, illustrato da Rébecca Dautremer. I buchi presenti nei meravigliosi Il libro che aveva un buco e Il libro che aveva due buchi, raccontati e illustrati da Domitille e Jean-Olivier Héron, sono stati realizzati a Prato per Motta Junior.



I miei preziosi pop up, invece, sono entrambi stampati in Tailandia.
Da sempre ho preferito nei miei acquisti prodotti che non fossero “made in China”, anche se solo da pochi anni è diventata per me una scelta cosciente di boicottaggio di un’economia basata sullo sfruttamento dei più deboli. Cercando informazioni in internet, sembrerebbe la scelta più giusta da fare (vedi i consigli della Laogai Research Foundation Italia). Ognuno di noi però sa quanto possa essere complicato (vedi qui).
Al di là di possibili rischi per la salute, dovuti all’utilizzo di inchiostri tossici nella stampa di libri per bambini (vedi qui), mi lascia una discreta inquietudine l’idea di libri per bambini realizzati dalle mani di bimbi cui non sono destinati. Bimbi che forse neanche li desiderano più, bimbi per i quali è più impellente il bisogno di sfamare se stessi e la propria famiglia.


Nel 2008 la “miglior collana di divulgazione” del Premio Andersen fu giudicata essere “Paesi e popoli del mondo” della casa editrice EDT-Giralangolo. Tra i titoli presenti in collana, Thi Thêm e la fabbrica di giocattoli di Françoise Guyon, illustrato da Roger Orengo, parla di una bimba vietnamita, obbligata a lasciare la scuola per andare a lavorare in una fabbrica di giocattoli. Thi Thêm costruisce i giocattoli con i quali non può giocare, destinati ad altri bimbi più fortunati.
Cito dalla presentazione del libro: “La storia, a lieto fine, è accompagnata da illustrazioni che riflettono nei tratti, prima morbidi e acquarellati poi duri e pesanti, il passaggio dal sorriso di Thi Thêm alla fatica del suo lavoro. Il libro contiene un'appendice sull'azione dell'UNICEF in difesa dei diritti dei bambini contro il fenomeno del lavoro minorile”.
Ed è proprio l’UNICEF a consigliare “politiche di acquisto che assicurino l’interesse e la tutela dei minori. Naturalmente l’UNICEF assume in prima persona una politica di acquisto child-labour free quando si trova ad acquistare da società private i manufatti e le attrezzature necessari per la realizzazione dei suoi progetti in tutto il mondo” (UNICEF, I bambini che lavorano, Roma 1999, 2007).

Non sono riuscita ad andare più a fondo di così. Non sono una giornalista, ma mi piacerebbe essere maggiormente informata quando compro con gioia piccoli tesori di carta. Se qualcuno sa qualcosa in più, me lo faccia sapere e gliene sarò grata.

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